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Indonesia


Ha il più alto livello di endemismi e di biodiversità del pianeta: pensiamo solo all'orangutan, al babirusa, al drago di Komodo o agli uccelli del paradiso. E ha il più alto tasso di deforestazione.
C'è il mondo gremito di Giava, fatto di città sovraffollate, caotiche e maleodoranti, e c'è un mondo quasi intatto, di giungle calde e umide, senza strade né auto, lontano anni luce dall'idea che abbiamo di civiltà.
Ci vivono oltre 300 gruppi etnici diversi e ognuno parla la propria lingua, il che rende questa nazione un'entità culturalmente ricca e poliedrica; il suo motto è uniti nella diversità, ma le discriminazioni, l'animosità e la voglia di separatismo non mancano.
Uomini e donne con il capo coperto dal velo si raccolgono in preghiera cinque volte al giorno, come prescritto dal Corano; la fede islamica è il credo più diffuso, ma a Bali, quasi interamente induista, si respira un intenso odore d'incenso.
E' il più vasto stato arcipelago del mondo, è terra di vulcani turbolenti, di foreste popolate da chissà quante specie ancora sconosciute, di fiumi fangosi e di infiniti terrazzamenti di riso, di spiagge candide e mari caldi. E' un mondo d'avventura, a metà tra l'oceano Indiano e il Pacifico: è l'Indonesia.

L'arcipelago indonesiano si estende a cavallo dell'equatore per più di 5.000 chilometri e tre fusi orari; questo solo per dare un'idea delle sue enormi proporzioni.
Volendo seguire un ordine geografico, si comincia con la ghirlanda di isole della Sonda, che da Sumatra, allungata nel mar delle Andamane di fronte alle coste della Malaysia, prosegue con la popolosa Giava e la sua piccola appendice Bali, meta della maggior parte dei turisti, per poi sgranarsi in un rosario di isole e isolette. Tra queste, solo per citare qualche nome, si contano la bella Lombok, Komodo, regno incontrastato del terribile lucertolone, Flores, che non ha ancora svelato alcuni aspetti dell'evoluzione umana, fino a Timor, divisa a metà da una frontiera, contesa in anni di lotta e di sangue tra gli indipendentisti di Timor Est e le forze di occupazione indonesiane.
Mancano ancora all'appello la massiccia isola del Borneo, la maggiore delle Grandi Isole della Sonda - politicamente spartita tra Borneo indonesiano (Kalimantan), Borneo malese e sultanato del Brunei - e Sulawesi, ex Celebes, riconoscibile dal seducente e articolato disegno costiero.
Ma non è finito qui: procedendo verso est c'è ancora posto per un corollario di isole e isolette dal sapore melanesiano, le Maluku (Molucche) e per la grande isola della Nuova Guinea, della quale Papua (ex Irian Jaya) costituisce la parte indonesiana. E qui siamo ormai in Oceania.

In totale, le macchie di terra contate dai satelliti sono oltre 17.000; alcune talmente vicine che quasi si toccano, altre separate da fosse oceaniche abissali.
Quando il livello del mare si abbassava, come durante l'ultima glaciazione, le isole della Sonda erano unite da ponti di terra, periodicamente attraversati da uomini e animali; analogamente, la Nuova Guinea e le terre ad est del Borneo erano collegate all'Australia.
Tuttavia, le isole separate da bracci di mare profondi non avrebbero mai potuto essere raggiunte attraverso un percorso terrestre, neanche nei periodi in cui il livello del mare era un centinaio di metri più basso. E' così che si spiega la presenza in Indonesia di due zone zoogeografiche diverse, divise da una linea immaginaria, descritta per la prima volta dal naturalista Wallace: ad ovest della linea, che corre tra il Borneo e Sulawesi e taglia in due le isole della Sonda tra Bali e Lombok, si trovano specie affini a quelle asiatiche, mentre le terre ad est sono popolate da specie tipicamente australiane.

Più che un insieme di nomi sulla carta geografica, le isole indonesiane sono quindi un curioso esempio di diversità faunistica e risentono di un interessante melting pot di genti indoeuropee e popolazioni australoidi. Ma sono entità ben distinte, sia pure con diversi tratti in comune. La natura esplosiva è uno di questi, e non parliamo solo di megafauna e megaflora ma di vulcanismo.

Fatta eccezione forse solo per il Borneo e per qualche isoletta corallina delle Molucche, in tutta l'Indonesia sono i vulcani a dominare il paesaggio, con vette e coni spettacolari che superano abbondantemente quota tremila e attirano migliaia di turisti l'anno. Solo a Giava di vulcani se ne contano più di un centinaio: occupano circa un terzo del territorio e incombono su un'isola tra le più densamente popolate del pianeta.
Da sempre la gente ha imparato a convivere con il pericolo di frequenti eruzioni, in passato ce ne sono state alcune di portata apocalittica e se ne verificano molte tuttora, a testimonianza dell'instabilità geologica della regione, che di tanto in tanto si manifesta anche con devastanti terremoti.
Ma sono gli stessi vulcani che, se da un lato reclamano un alto tributo di vittime, dall'altro rendono il suolo fertilissimo e ricco di minerali: ogni fazzoletto di terra conquistato a fatica tra mare e montagna è alacremente coltivato e ovunque spuntano risaie, ma anche campi di mais, di manioca, banane, caffè, tè e cacao.

La coltivazione più sviluppata su scala industriale è però quella della palma da olio, che ormai si sostituisce, in Borneo soprattutto, alla foresta primaria e minaccia l'habitat di specie a rischio di estinzione, compresi gli oranghi. Se a quest'industria, incentivata dal governo indonesiano per gli utili considerevoli che è in grado di generare, si aggiungono l'abbattimento legale e illegale delle foreste, sostenuto dalle esportazioni di legno pregiato, e la tecnica del taglia e brucia, praticata dai contadini per preparare il terreno a nuovi raccolti, si capisce come e perché il futuro di questa nazione sia oscurato da parecchie ombre.

I leader politici indonesiani sembrano poco intenzionati ad invertire questa rovinosa tendenza; la nazione ha un'economia in crescita e da tempo si è ormai avviata sulla strada della modernizzazione, seguendo i modelli dei più vivaci paesi del sud est asiatico. Le disuguaglianze nei redditi sono abissali, ma in media il tenore di vita della popolazione è in costante miglioramento, soprattutto se paragonato agli anni precedenti e successivi all'indipendenza.

Prima dell'arrivo degli europei, ogni isola dell'Indonesia aveva il suo sultano, la sua gerarchia e suoi dei da venerare. Quando però nel XV secolo le potenze coloniali europee si accorgono dell'Asia e del Nuovo Mondo, i sofisticati regni induisti e musulmani cedono alla potenza della Compagnia Olandese delle Indie Orientali.
In pochi anni gli astuti mercanti olandesi scalzano dall'arcipelago i portoghesi, arrivati primi sulla via delle spezie e ben piazzati a Malacca, e impongono il proprio dominio, durissimo, su quella regione che a lungo sarà la colonia più ricca dei Tropici.
La corona olandese regna per oltre due secoli. Poi, alla fine della seconda guerra mondiale, quando già si sentiva odore d'indipendenza anche nel resto delle colonie asiatiche, l'Olanda è costretta a rinunciare alle sue opulente terre d'oltremare, ma non senza aver tentato il tutto per tutto a suon di cannoni.
Con l'indipendenza politica c'è un primo tentativo di democratizzazione, poi quasi subito la dittatura. Nel 1965 il generale Suharto prende il potere con un golpe militare e rimane in carica per più di trent'anni; quando finalmente si ritira, lascia dietro di sé il ricordo di un regime brutale e repressivo, centinaia di migliaia di vittime e un paese piagato dalla corruzione.

La scena politica indonesiana si è progressivamente stabilizzata dopo la caduta del dittatore. Ma la corruzione dei vertici politici e il malgoverno, il disagio sociale e la povertà delle aree rurali sono ombre buie che incombono sul paese più delle eruzioni vulcaniche, dei terremoti e degli tsunami. Terreno fertile anche per lo scoppio di ribellioni separatiste, come a Papua e nella provincia di Aceh a Sumatra. E nemmeno può essere ignorato il rischio di attentati terroristici: l'ultimo risale al 2009, ma come dimenticare le stragi di Bali del 2002 che fecero centinaia di vittime, perlopiù turisti stranieri?

Nonostante la storia turbolenta della nazione, che comunque richiede un certo livello di attenzione, il turismo è in aumento, anche se interessa quasi esclusivamente le isole di Bali e Giava.
Le spiagge e qualche tempio sembrano essere le maggiori e, in qualche caso, uniche attrazioni per la maggior parte dei turisti. Invece in questo sconfinato arcipelago, dove viaggiare è ancora a buon mercato, basta avere tempo e voglia di allontanarsi dai sentieri più battuti per scoprire quanto sia facile vivere, tutte insieme, diverse emozionanti avventure.

continua a leggere: Perché andare - cosa puoi fare e cosa puoi vedere

     
     
     


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