In qualsiasi stagione dell'anno si vada, ci sono centinaia di imbarcazioni da diporto allineate davanti ai contrafforti del Nelson’s Dockyard: ai grandi yacht alla fonda fanno da sfondo austere mura georgiane e prati all'inglese, su cui troneggiano incuranti le palme da cocco. Ecco a voi un angolo di vecchia Inghilterra trapiantato nei tropici: English Harbour, un porto naturale tra i più sicuri al mondo, ricavato sulla costa meridionale di Antigua in un insenatura profonda e protetta dagli uragani. Non c'è dubbio, è l'approdo più spettacolare dei Caraibi.
Fu l'ammiraglio Nelson a rendere famosa Antigua, a quel tempo caposaldo navale della marina britannica nelle Indie occidentali; ma se English Harbour può ancora vantare il suo antico splendore lo deve a un altro uomo, che non è passato alla storia, ma ha avuto pur sempre un ruolo chiave nello sviluppo turistico di Antigua. Perché ad Antigua, oltre che per le spiagge bianche come la farina e soffici quanto il borotalco, si viene per vivere una emozionante esperienza marinaresca. E' qui che è nata l'industria del charter nautico ed è qui che ogni anno si svolgono prestigiose regate veliche.
Tutto comincia quasi per caso, quando Vernon Nicholson, ex commodoro della Royal Navy, si trasferisce ad Antigua da Bermuda, dove aveva servito durante la guerra. Convinto che l'Inghilterra dell'immediato dopoguerra avrebbe avuto poco da offrire ai suoi figli, imbarca la famiglia a bordo del Mollyhawke, uno shooner da 70 piedi che aveva acquistato anni prima per qualche migliaio di sterline, e si stabilisce nella vecchia darsena intitolata a Lord Nelson.
Non passa molto tempo che i blasonati clienti del Mill Reef Club chiedono a Nicholson di essere accompagnati a fare un giro in barca attorno ad Antigua e alle isole vicine.
Il primo ospite pagante sale a bordo del Mollyhawke nel 1950; poi le richieste si fanno più frequenti e la famiglia Nicholson è proiettata, quasi inconsapevolmente, nel vortice di un nuovo business, quello del noleggio delle barche. L'industria del charter era nata e nel giro di pochi anni alla vecchia goletta fu affiancata una piccola flotta di una ventina di moderne imbarcazioni.
Il resto è storia. L'inedita attività richiama l'attenzione del governatore e di uomini d'affari locali e stranieri, confluiscono capitali e cominciano i restauri dell'arsenale, dei magazzini, della veleria, che riaprono al pubblico negli anni sessanta. I vecchi edifici navali che si affacciavano sulla banchina sono stati trasformati in hotel di charme e l'intero complesso, di cui fa parte anche l'antico forte eretto a difesa del porto, è il fiore all'occhiello di Antigua, tappa immancabile per ogni turista, appassionato di storie di mare o non, che si rechi sull'isola.
Tre secoli di incontrastata dominazione britannica non potevano non lasciare indelebili segni sull'isola: ad Antigua lo sport preferito è il cricket e per strada spicca il rosso fuoco delle cabine telefoniche e delle cassette postali. Nell'aria però si respira l'odore delle spezie misto al fumo del jerk che sale dalle griglie, mentre le note del calypso e il travolgente ritmo del reggae si diffondono dagli altoparlanti.
Il tempo scorre lento davanti ai portici delle casette di legno e nelle strade polverose, dove un continuo via vai di un'umanità colorata procede sotto il sole con la sua placida andatura caraibica.
Ad Antigua solo un'esigua minoranza vanta ascendenze britanniche, il 90% della popolazione è di colore e origina dagli schiavi africani, importati durante il periodo coloniale. Non poteva essere altrimenti, la storia di Antigua ricalca il solito copione già visto altrove nelle Antille.
Quando fu avvistata per la prima volta da Colombo, che mai vi mise piede ma si prese lo stesso la briga di battezzarla con il nome di Santa Maria de Antigua, l'isola era abitata dalle tribù amazzoniche dei Carib, che avevano già provveduto a sterminare i più pacifici Arawak. Gli indigeni Carib respinsero spagnoli e francesi ma ebbero la peggio sugli inglesi, che a quel tempo avevano già una base a St. Kitts e Nevis.
Gli invasori cominciarono a piantare prima tabacco, poi canna da zucchero. Già agli inizi del settecento le dolci colline di Antigua e le valli centrali coperte di foreste erano state sistematicamente disboscate; l'economia dello zucchero dava i suoi frutti, grazie alla massiccia importazione di schiavi dall'Africa occidentale e all'assenza di montagne – il punto più elevato, Boggy Peak, arriva appena a 400 metri – che rendevano l'isola quasi interamente coltivabile.
Risultato: delle foreste ne è rimasto un fazzoletto e il territorio è in gran parte arido, eccezion fatta per i magnifici isolotti che fanno da corollario alle coste frastagliate di Antigua, come Bird island o Guiana Island, il cui delicato ecosistema si conserva ancora intatto.
Non potrà definirsi un'isola lussureggiante, ma Antigua ha diverse altre frecce nel suo arco: il mare, che domina il paesaggio con quel turchese così pieno e denso che lo trovi solo ai Tropici. E poi le spiagge.
Qui le definizioni si sprecano: ce ne sarebbe una diversa per ogni giorno dell'anno, quella a mezzaluna perfetta, quella più esclusiva, quella dove l'unica traccia che vedi sono i tuoi passi sulla sabbia.
A dire il vero, chi cerca tranquillità e solitudine farebbe forse meglio a spostarsi un po' più a nord, nella piatta Barbuda, una delle isole meno visitate dei Caraibi con un susseguirsi infinito di lunghe spiagge immacolate circondate da una barriera corallina incontaminata.
Peccato però che la maggior parte di queste spiagge siano accessibili solo via mare; certo per chi possiede un'imbarcazione il problema non si pone. La navigazione nelle acque attorno a Barbuda, un dedalo di scogli e barriere affioranti, richiede perizia e attenzione ma che meraviglia!