Il frutto nazionale della Giamaica è l’ackee, originario dell’Africa occidentale e introdotto nell’isola da Capitan Bligh in persona, che pare ne avesse una pianta a bordo del suo Bounty. Si usa come legume, ha un sapore dolce che si sposa perfettamente con il pesce salato, al quale fa da perfetto accompagnamento. Ma quando il frutto non è ben maturo contiene alti livelli di una tossina e può provocare gravi avvelenamenti.
Solo quei pazzi dei giamaicani riescono a mangiarlo è il commento degli altri caraibici. Uno strano paese la Giamaica.
L'ackee sarà pure un simbolo nazionale, ma il solo pensare alla Giamaica evoca altre immagini: spiagge candide, palme e mari turchesi. E la musica. Non le melodiose cadenze del calypso, quelli erano gli anni '50, i tempi dei Mr Tallyman, tally me banana di Harry Belafonte; le note esotiche di questo genere popolare, nato a Trinidad e reinterpretato come mento in Giamaica, si evolvono via via in un nuovo ritmo coinvolgente e universale che presto travalica i confini dell'isola caraibica: il reggae.
Il reggae rimane indissolubilmente associato a Bob Marley, che di questo genere musicale è stato l’indiscusso protagonista. Il profeta dei ghetti di Kingston, che cantava il mondo dei diseredati, la protesta e la filosofia rasta, è per molti giamaicani un eroe nazionale. Fu lui che, adottando in pubblico il rastafarianismo, ne propagò il richiamo e diede spinta a questo movimento.
Sorta negli anni Trenta in seguito all’incoronazione dell’imperatore etiope Ras Tafari, questa forza culturale affonda le sue radici nelle teorie dell’attivista di colore Marcus Garvey, che condannava il colonialismo e auspicava il ritorno in Africa di tutti i neri oppressi. Il movimento diventò presto un’ideologia di opposizione, diffondendosi nei quartieri più poveri della tormentata Giamaica, dove la stragrande maggioranza della popolazione è discendente da schiavi africani.
I primi schiavi vengono introdotti dagli spagnoli, che arrivano in Giamaica a seguito del solito Colombo; la dominazione spagnola tuttavia non dura a lungo, gli inglesi conquistano l'isola e l'affidano al governatore-corsaro Henry Morgan che, in missione per la corona britannica, si occuperà di saccheggiare i galeoni spagnoli con i suoi predoni del mare.
La Giamaica diventa covo dei pirati dei Caraibi e la sua capitale sarà la città di Port Royal, con le leggendarie taverne piene di botti di rum. Finita l'epoca delle “patenti di corsa”, gli inglesi si mettono d'impegno per sfruttare l'isola e le piantagioni della Giamaica prosperano grazie alla massiccia importazione di schiavi. Quando finalmente viene sancita l'abolizione della schiavitù, l'impero coloniale si serve di manodopera a contratto proveniente da Cina e India, cui si aggiungono poi flussi anche dal Medio Oriente.
Out of many, one people, da tanti un solo popolo: in questo motto scelto dai leader dell'indipendenza è sintetizzata la storia e l'orgogliosa identità dei giamaicani.
La Giamaica è un'isola dalle molte facce, difficile conoscerle tutte nel giro di una sola vacanza. La natura è stata senz'altro generosa: ripide montagne avvolte dalle foreste, vallate scavate da fiumi, cascate e una varietà di altri ambienti in cui si sviluppano una flora e una fauna di straordinaria bellezza.
Da Kingston, una delle metropoli più estese e purtroppo più malfamate dei Caraibi, basta qualche chilometro per entrare in un altro mondo e raggiungere le fresche colline che preludono alle riserve forestali delle Blue Mountains. La strada panoramica si snoda attraverso la profumata vegetazione, interrotta solo da una spolverata di case, qualche chiesetta e dalle piantagioni che producono una varietà di caffè tra le più pregiate al mondo.
Tra questi luoghi e le spiagge dorate di Ocho Rios, Montego Bay e di Negril c'è una distanza siderale. Ma è qui, nella Giamaica più vivace e godereccia, che ruota la vita turistica dell'isola. Le barriere coralline, sia pure impoverite dall'eccessivo sviluppo costiero, si estendono a poche centinaia di metri dalla riva, delimitando acque calde e limpide dove si resta immersi anche per ore; le fronde delle palme regalano un po' di frescura e le bancarelle e i bar sulla spiaggia offrono cibo e bevande di ogni tipo. La cartolina della perfetta vacanza caraibica.
Ma nel lungomare pattugliato dalle forze di polizia, negli hotel chiusi da alte recinzioni e nell'ostinazione dei sedicenti rasta a voler proporre servizi di ogni genere, quasi mai leciti, è difficile non leggere i segni di quel disagio sociale che rappresenta uno dei volti dell'isola del sole.
Una cospicua parte dei turisti che scelgono la Giamaica per le proprie vacanze, un po' per pigrizia e un po' per timore della criminalità, che raggiunge alti livelli ma è limitata ai ghetti di Kingston, non si spinge fuori dai confini dei resort alla moda, non si mischia con la gente né si sforza di capire la vera anima di quest'isola.
We are more than a beach, we are a country recitava un vecchio slogan del Jamaica Tourist Board, chissà se ha ancora un senso.