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Dossier Tropici

Souvenir a rischio

Lo sanno tutti che la sopravvivenza di un numero sempre crescente di specie animali e vegetali è a rischio. Eppure il mercato di piante e animali minacciati è fiorente, non risente di crisi e può vantare un giro di affari da miliardi di dollari.
Si tratta di un commercio in gran parte illegale che, non di rado, segue canali paralleli a quelli del traffico di droga.
A questo business sconsiderato, che continua a svuotare il patrimonio naturalistico di buona parte dei paesi del sud del mondo, contribuisce in larga misura l'utilizzo di specie protette a scopo commerciale.
Anche il turista può rendersene complice, in modo irresponsabile o soltanto inconsapevole.
Le aree geografiche tropicali costituiscono i più grandi serbatoi di biodiversità del mondo. Ed è proprio nei mercatini locali di molte di queste aree che si può acquistare di tutto: da esemplari esotici vivi a prodotti derivati da flora e fauna selvatica in via di estinzione, usati per confezionare oggetti di ogni tipo.
E il cui destino è quello di finire in soprammobili, gioielli, scialli, bottoni, montature di occhiali, borse, cinture e cinturini. Venduti in blocco o al dettaglio, molte parti di animali costituiscono inoltre i principali ingredienti della medicina tradizionale orientale oppure finiscono tal quali, direttamente nel piatto.

Il commercio di specie esotiche è stato messo al bando dalla Convenzione sul Commercio Internazionale di flora e fauna selvatiche minacciate di estinzione (CITES), sottoscritta da oltre 170 paesi.
La Convenzione, alla quale aderisce anche l'Italia, regolamenta e controlla il commercio di 36.000 specie di fauna e flora e agisce attraverso diversi livelli di protezione.
In poche parole funziona così: la CITES ha raggruppato le specie protette in diverse categorie, in base al loro stato di salute e alla loro vulnerabilità.
Ha poi redatto elenchi in cui vengono catalogate le specie in via di estinzione, per le quali il commercio è reato, e le specie minacciate, per le quali l'importazione è consentita solo per uso personale, in presenza di adeguata autorizzazione CITES. Autorizzazione che non viene concessa in mancanza di un permesso di esportazione valido, rilasciato dal paese di origine.
Per coloro che rientrano dall'estero con le valigie piene di souvenir vietati, cosa che numerosi turisti fanno, sono previste multe salatissime e, nei casi di animali più rari, gravi sanzioni penali fino alla reclusione.

Sulla carta tutto funziona a meraviglia. Ma non bastano multe e sequestri, che pure sono numerose, a fermare questo traffico illegale.
Prendiamo il caso dell'avorio. Tutti sanno che si ricava dalle zanne di elefanti africani e indiani o dal corno dei rinoceronti.
Per fermare il massacro di questi animali, ormai molto rari allo stato selvatico, la CITES aveva messo al bando il commercio di avorio già nel 1989, salvo poi autorizzare recentemente alcuni stati africani all'esportazione di quello già immagazzinato.
Eppure di gente che compra oggetti in avorio ce ne deve essere ancora tanta, visto che si stima che più di 20,000 elefanti vengano abbattuti ogni anno dai bracconieri.
La Cina ne è il maggiore importatore: ricava profitti da un allegro commercio con gli Stati Uniti, sede del più importante mercato illegale di avorio.
La vendita avviene anche attraverso eBay; si parla di circa 1,000 oggetti messi all'asta ogni settimana. Un commercio che non riguarda solo i contrabbandieri perché gran parte di questo avorio entra negli Stati Uniti grazie a comuni cittadini che ritornano da viaggi all'estero.
In Europa l'importazione di avorio, grezzo o intagliato, è proibita e questi oggetti non sono ai primi posti tra gli esemplari CITES più soggetti a sequestro. Lo sono invece i prodotti di alligatore e coccodrillo, nonostante i buoni risultati già ottenuti dalla CITES proprio nel caso di pelletteria di rettile.

Un altro caso vistoso riguarda l'importazione e il commercio dei coralli, per alcuni dei quali esiste già una tutela CITES.
In considerazione del progressivo degrado delle barriere, causato dall'intenso sfruttamento commerciale che di certo non si combina con la lenta crescita di questi organismi, molti paesi propongono di allargare la tutela a tutte le specie del genere Corallium.
Unico paese ad opporsi alla proposta, oltre al Giappone, l'Italia che in questo settore, oltre ad essere un utilizzatore, si colloca guarda caso anche tra i produttori.
Attualmente il divieto di importazione in assenza di certificato CITES rimane valido per tutte le madrepore, i coralli blu e neri e i loro frammenti che si possono trovare sulle spiagge.
Purtroppo, un gran numero di sequestri nei nostri aeroporti interessa proprio conchiglie e coralli, sia vivi sia sotto forma di gioielli e soprammobili. Forse perché pochi sanno che tutti questi oggetti necessitano di un permesso di esportazione?
Quando il malcapitato turista incappa nelle maglie dei controlli in frontiera, lamenta di non conoscere la legislazione in materia oppure accusa il venditore: come se gli ambulanti terzomondisti debbano essere qualificati a dare informazioni o a rilasciare permessi.

La decisione di non acquistare determinati souvenir, o peggio esemplari protetti, spetta solamente a chi non vuole contribuire a distruggere il patrimonio naturale del paese che è andato a visitare.
Nel dubbio, informatevi presso il Corpo Forestale dello Stato.
[Maggio 2009]

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