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Senegal


Il cuore del Senegal pulsa a Dakar, città di mare adagiata nel lembo più occidentale dell'Africa. Un po' Napoli, ma più Marsiglia.
Nelle sue arterie il traffico, la calca e il frastuono di due milioni e mezzo di abitanti, alle prese con le difficoltà della vita quotidiana, che si riversano nel chiarore abbagliante delle strade: perché è qui che si svolge la giornata e si partecipa alla vita sociale.
Dentro si soffoca e l'aria è pesante, mentre fuori, sulla zona costiera, soffia il fresco aliseo marittimo. Ed è nelle strade che si discute e si gesticola, si vende e dopo estenuanti contrattazioni si compra, si cerca fortuna e ci si arrangia per procurarsi il necessario.
Una instancabile e coinvolgente vitalità, che impregna tuniche e tessuti stampati a cera con l'odore pungente di pesce essiccato che arriva dalle spiagge e che diventa tutt'uno con quello delle arachidi tostate e dei corpi surriscaldati.

Poi, in un attimo, dalla confusione riaffiora un segnale e la città si ferma a pregare. Per strada, perché le moschee di quartiere non ce la fanno più a contenere i fedeli, che sono per il 95 per cento musulmani.
La pratica dell'Islam in tutto il Senegal è pacifista e tollerante, fa parte della cultura del quotidiano e affonda le sue radici e ne lega la storia all'espansione dei regni arabi, molto prima che alla colonizzazione europea.
Contro la violenza dei colonizzatori aveva combattuto la confraternita sunnita Murid e l'immagine carismatica del leader della resistenza non violenta arabo senegalese, Cheick Ahamadou Bamba, è diffusa ovunque, a testimonianza dell'influenza dei valori dell'Islam nelle dinamiche sociali della comunità.

I caratteri culturali del Senegal sono ugualmente innervati da quelli europei, soprattutto francesi; la frequentazione della società francese, durante la colonizzazione e anche dopo l'indipendenza, attraverso l'emigrazione per studio o per lavoro, ha favorito e fatto conoscere le tante espressioni artistiche e culturali di questo popolo.
A cominciare, solo per citare i nomi più conosciuti, da Senghor, poeta e teorico della negritudine, artefice dell'indipendenza e poi presidente del Senegal. O Youssou n'Dour che ha portato al successo mondiale il mbalax, un genere popolare di musica afro, tipico del Senegal.
O ancora Oumou Sy, stilista di fama internazionale e ideatrice a Dakar del primo cyber café dell'Africa occidentale. Dove, oltre a internet, c'è una scuola che insegna a tingere stoffe, creare gioielli e pettinare con le tipiche acconciature africane.

Fuori dalla città, centinaia di chilometri di coste attrezzate per il turismo occidentale alla ricerca di mare e di evasione. Lo stesso mare che è battuto quotidianamente dalle piroghe dei pescatori.
E poi il circuito dei parchi nazionali del Sahel a nord e della savana a sud. Tutto il resto è pianura riarsa e sabbiosa dove, tra acacie spinose e giganteschi baobab, si estendono tuguri e stamberghe in cui si vive al margine da qualsiasi possibilità di sviluppo.
E allora è facile che nei racconti di viaggio emerga il cliché, tipicamente occidentale, di popolazioni povere ma 'dignitose' e di bambini nudi e sporchi ma 'sempre sorridenti'.
Soltanto luoghi comuni che, sotto il velo della compassione, rischiano di sottodimensionare i seri problemi di miseria e sottosviluppo del Senegal e di tanti altri paesi africani.

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