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Dossier Tropici

Chi ha paura dello squalo?

Da qualche parte nelle profondità della mente sonnecchia una delle paure ancestrali dell'essere umano, quella di essere mangiati vivi.
E tra le possibilità offerte in natura, la fobia di subire un attacco di squalo è piuttosto comune: chi non ci ha pensato, almeno una volta, facendo il bagno nelle acque dei tropici?
Una pinna fende l'acqua dirigendosi minacciosamente verso la vittima, un grosso squalo attirato dall'odore del sangue si lancia contro la preda, il girotondo di ombre intorno alla barca rimasta in panne: se ne legge e se ne vede parecchia di questa finzione, che genera emozione ed eccitazione proprio in coloro che ne hanno più paura.
Si sa, gli squali sono al vertice della catena alimentare degli oceani: con una taglia notevole, la forma idrodinamica e una straordinaria forza muscolare, rappresentano il culmine del design biologico funzionale al nuoto e alla caccia ad alte prestazioni. Ma in che misura l'uomo deve veramente temere questo predatore?

Pericolo squali: gli attacchi all'uomo nel mondo
A sfatare infondate paure e pregiudizi sull'eventualità di essere vittime del grande cacciatore, viene in aiuto il Worldwide Shark Attack Summary, uno studio riportato dall'università della Florida, una delle maggiori autorità in merito. E non a caso, perché è proprio nei mari della Florida che si registra il maggior numero di attacchi ai danni dell'essere umano: su 1.076 totali censiti, la Florida ne conta ben 429, poco meno della metà.
Il centro dispone di una straordinaria raccolta di dati storici, distribuiti in tutte le aree geografiche del mondo; per alcuni paesi i dati risalgono addirittura al 1600. Insomma tutto quello che, da sempre, si sa sull'argomento.
Nella top ten delle acque più colpite, dopo la Florida, vengono Australia e Sud Africa. Quindi le Hawaii, solo al quarto posto, con poco più di 60 attacchi, 4 dei quali conclusi tragicamente.
C'è poi la California e anche qui i casi mortali sono estremamente rari, mentre sale la mortalità a Réunion, che registra pochi attacchi ma la metà di questi è letale; singolare il caso di Hong Kong, dove gli squali hanno colpito solo sei volte ma quelle sei volte si è trattato sempre di eventi fatali.
Per tornare ad oggi, i dati del 2008 indicano 59 attacchi in tutto il mondo, 4 dei quali mortali. Benché i casi di aggressione ai danni dell'uomo non siano diminuiti con il passare degli anni, gli studiosi riferiscono che si riduce via via il numero di eventi mortali.
I 59 casi riportati si riferiscono a quelli definiti "unprovoked attacks", ovvero incidenti che avvengono senza che l'animale sia stato provocato dall'uomo; sono perciò esclusi i casi relativi a ricercatori che si immergono in acquari o in aree marine a rischio, divers che vengono aggrediti per aver avvicinato l'animale in modo imprudente, pescatori che tentavano di rimuovere lo squalo dalle reti, uomini caduti in mare a seguito di incidenti di barca, disastri aerei e via dicendo.
Chi sono allora le vittime degli squali dell'anno scorso? In alcune aree la popolazione di squali è in netto declino per caccia, perdita di habitat e degrado delle condizioni marine; ma le occasioni di incontro uomo squalo continuano a crescere all'aumentare del tempo che l'uomo spende in mare per le sue attività ricreative.
In Florida, ad esempio, l'area più colpita è Volusia County, quella che convoglia il maggior numero di residenti e turisti in attività marine ludiche e sportive.
Ecco allora i 59 casi mondiali: surfers e windsurfers i gruppi più colpiti, che insieme fanno più della metà del totale, un terzo sono nuotatori mentre quelli meno coinvolti sono snorkelers, che rappresentano solo il 7 per cento delle vittime.
In caso di pericolo, gli esperti raccomandano una risposta proattiva: pare che un pugno sul muso dello squalo con la mano o meglio, se lo si ha a disposizione, con un oggetto, serva a dissuadere l'animale. Facile a dirsi, ma c'è comunque chi ci riesce.

Il sesto senso degli squali
Un gruppo di ricercatori dell'università di Miami, con l'aiuto di imprenditori e il sostegno anche del WWF, sta mettendo a punto un dispositivo che dovrebbe servire ad allontanare gli squali.
I dati sono ancora preliminari ma la ricerca, pubblicata qualche anno fa dalla nota rivista internazionale Scientific American, è curiosa e affascinante e ha inizio con lo studio della funzione di recettori specializzati, posti proprio sul muso dell'animale: un sesto senso che li guida con precisione verso le prede. Pochi altri, tranne gli squali e le specie a loro affini, hanno simili strutture in grado di percepire i debolissimi campi elettrici generati nell'acqua dagli altri animali, uomo compreso.
Durante la caccia gli squali impiegano tutti i loro canali di senso: mentre olfatto e udito vengono utilizzati per individuare la preda da lontano, a distanza ravvicinata entrano in gioco le cellule sensitive situate nella linea laterale, che segnalano presenza e spostamenti in acqua di altri pesci.
Ma è durante la fase finale dell'attacco, quando lo squalo è a meno di un metro dalla vittima, che intervengono questi rivelatori di campi elettrici che, come un radar di precisione, servono a localizzare definitivamente la preda e ad orientare nel modo migliore le mascelle.
E che vengono in aiuto allo squalo quando vista e olfatto dell'animale sono confusi dal sangue sciolto in acqua.
E' da queste ricerche che nasce l'idea di ingannare gli squali e disorientare il loro 'sesto senso' con un dispositivo magnetico che dovrebbe servire ad allontanarli dagli ami dei pescatori, senza però esercitare alcun effetto sugli altri pesci, in quanto privi di tali elettrorecettori.
Un simile dispositivo potrebbe rivelarsi potenzialmente utile anche per divers e bagnanti, ma non si hanno finora dati sufficienti a confermare l'effetto di questi magneti sul comportamento degli squali. Con i quali, l'uomo dovrebbe piuttosto imparare a convivere: l'obiettivo dichiarato dai ricercatori di Miami è infatti quello di salvare gli squali, il 20% dei quali è minacciato di estinzione, e non viceversa.

Le specie pericolose
Con una storia evolutiva di circa 450 milioni di anni - ben più lunga di quella di Homo sapiens, comparso solamente 500.000 anni fa- gli squali non si sono modificati molto da allora e, ciò nonostante, sono sopravvissuti a diverse estinzioni di massa.
Delle oltre 400 specie di squalo, moltissime sono innocue e affatto aggressive e tra queste, alcuni squali di barriera.
Una ventina di specie sono invece ritenute pericolose ma quelle ripetutamente implicate in aggressioni all'uomo sono solo tre, ubiquitarie nelle acque temperate e tropicali di tutti i continenti: lo squalo bianco, lo squalo tigre e lo squalo dello Zambesi o squalo leuca, Carcharhinus leucas, meglio noto con il nome inglese di bull shark.
Lo squalo tigre è ritenuto responsabile di una larga parte degli episodi ai danni dell'uomo, anche perché è solito avvicinarsi alla costa, lungo gli estuari e vicino ai porti.
Nelle Hawaii, dove era considerato sacro dai nativi, lo squalo tigre è stato oggetto di intensa caccia, per timore che la sua presenza potesse rappresentare un deterrente per l'industria turistica. Malgrado ciò, il numero di attacchi all'uomo è rimasto sostanzialmente invariato.
Oggi alle Hawaii sono vietate le escursioni di shark feeding, tanto popolari in Polinesia francese, e viene scoraggiato il cage diving, un'immersione all'interno di gabbie per avvicinare enormi squali, molto diffusa in Australia e in Sud Africa.
Il bull shark è una specie altrettanto pericolosa che, come lo squalo tigre, predilige ambienti di acqua poco profonda. Nuota presso le coste e in prossimità degli sbocchi dei fiumi, che non di rade risale, e in tutte le aree marine ad alta concentrazione di sostanze e quindi a scarsa visibilità.
E' difficile imputare con certezza ad una di queste specie piuttosto che all'altra il maggior numero di incidenti.
Se si presta la dovuta attenzione e si evitano sconsideratezze, il rischio che si corre, ai tropici come altrove, è davvero contenuto.
E il panico, dunque, è in gran parte ingiustificato.
[Settembre 2009]

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