
Storie dai Tropici
Migrazioni forzate
(Vanua Levu, Fiji - 23/9/2011)
In questi giorni gli abitanti di un piccolo villaggio costiero di Vanua Levu prendono baracca e burattini e si spostano qualche chilometro più all'interno, lontano dal mare che continua a salire. E non sono i primi: nella stessa isola, un'altra comunità aveva già dovuto abbandonare case e terreni, non più difendibili dalle inondazioni e resi incoltivabili dal sale.
Non parliamo di un atollo sperduto, coperto da un ciuffo di palme e con un'altezza che non supera di un metro il livello del mare. Qui siamo alle
Fiji e Vanua Levu è la seconda isola per estensione dell'arcipelago: con i suoi 180 km di lunghezza, rigogliose colline e picchi vulcanici, è un territorio che può senz'altro offrire ospitalità agli sfollati di Koroalau.
L'esodo è ormai cominciato in molte parti del mondo. Il primo caso risale al 2009: i residenti dell'atollo di Carteret, poco al largo di Papua Nuova Guinea, raccolgono le poche cose che hanno e salgono a bordo delle barche che li condurranno in isole più elevate. Qualunque sia la causa, innalzamento del livello del mare o sprofondamento dell'atollo, Carteret è terra destinata a scomparire dalle carte geografiche.
Alle
Maldive , tanto per citare un luogo conosciuto ai più, 17 isole sono state abbandonate e altre 76 saranno presto inabitabili, a causa dell'erosione del mare e delle intrusioni saline nei pozzi.
Se, come sembra, il livello degli oceani aumenterà ancora, lo stesso rischio lo corrono le Kiribati, Tuvalu, molte altre isole del Pacifico, nonché le regioni costiere maggiormente esposte al mare, perché troppo basse e prive di quelle barriere naturali un tempo costituite da estese foreste di mangrovie.
Si andranno così a ingrossare le fila dell'esercito di ecoprofughi, coloro che cercano una sistemazione perché sfollati a causa del mare che sale, della siccità che avanza o delle piogge che non danno tregua. Solo per l'Asia, si parla di 30 milioni di “rifugiati ambientali” e a dirlo è la Banca asiatica per lo sviluppo (Asiatic bank of development), non qualche scalmanato ambientalista.
Alla base delle migrazioni forzate ci sono diverse cause e mancano ancora prove definitive che mettano in relazione diretta l'intensificarsi di fenomeni meteorologici estremi con il riscaldamento globale; ma il problema è reale ed è destinato a peggiorare nel prossimo futuro, sottolinea Robert Dobias, capo progetto della Banca asiatica per i cambiamenti climatici.
Il suo gruppo sta preparando un rapporto che sarà diffuso nella prossima primavera, nel quale sarà esposto un quadro più preciso e presentate le possibili misure da adottare.
Nel frattempo, la comunità internazionale potrebbe forse prendere in maggior considerazione la proposta di riconoscere a questi uomini e donne lo status giuridico di “rifugiati ambientali”. L'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr) ha stimato che al 2050 potrebbero essere un numero grande a piacere, tra i 200 e i 250 milioni di persone.
Altri dettagli:
The Guardian
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