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Storie dai Tropici

Crisi di Fukushima a livello 6. Occhi puntati sui modelli meteo

(Tokyo, Giappone- 25/3/2011)

A due settimane esatte dall'incidente nucleare innescato dal terremoto e dal conseguente tsunami il quadro si fa sempre più drammatico. I tre tecnici che lavoravano ieri nella vasca del reattore 3 di Fukushima sono stati esposti a valori di radioattività 10.000 volte superiori al limite tollerabile. Lo confermano i medici dell'ospedale nel quale i tecnici sono stati ricoverati dopo aver riportato gravissime ustioni.
I gestori dell'impianto di Fukushima ammettono oggi che la struttura di contenimento del nocciolo potrebbe essere danneggiata e che c'è la possibilità di "una sorta di fuga" dalla vasca che contiene le barre di combustibile.
L'Agenzia nipponica per la sicurezza nucleare ha alzato la valutazione della crisi a livello 6, in una scala il cui gradino massimo è 7; fino ad oggi la gravità dell'incidente era stata collocata a livello 5, ma sembrerebbe che ci stiamo avvicinando sempre di più ad una catastrofe nucleare di portata simile a quella di Chernobyl.
Il governo ha invitato i residenti alla "evacuazione volontaria" fino a 30 chilometri dall'impianto. Ma se è vero che il reattore 3 è fuori controllo, la centrale di Fukushima potrebbe sprigionare veleni ben oltre la zona di evacuazione, anche fuori dai confini giapponesi.

Gli scienziati di mezzo mondo stanno utilizzando modelli meteorologici per rispondere alle domande che ognuno di noi si pone: come e dove potrebbe essere trasportato il particolato radioattivo attraverso l'atmosfera? La situazione di grande incertezza rende difficile valutare il rischio di contaminazione globale con il dovuto rigore scientifico, soprattutto perché continuano a mancare informazioni precise riguardo alla quantità di radiazioni emesse.
"L'idea che si possa tracciare un particella d'aria mentre viaggia attraverso il Pacifico è frutto della fantasia se non si sa esattamente ciò che viene emesso" ha dichiarato al Washington Post Ross J. Salawitch, scienziato atmosferico presso l'Università del Maryland. Informazioni queste, che non vengono rese pubbliche ma di cui sono a conoscenza le autorità giapponesi e il governo degli Stati Uniti, che ha dispiegato in Giappone un team di almeno 40 esperti di energia nucleare, dotati di tutte le più sofisticate attrezzature di controllo.

Non resta quindi che affidarsi all'analisi dei modelli di trasporto atmosferico che forniscono immagini ragionevoli delle traiettorie a lungo raggio e danno indicazioni su quali variabili devono essere monitorate. I fattori che determinano la distribuzione dei contaminanti in atmosfera sono diversi: la quota a cui le particelle radioattive vengono lanciate in aria, la variabilità dei venti, la quantità e la natura dei radionuclidi emessi, la diluizione per dispersione, lavaggio con la pioggia o contatto con l'oceano.
In generale, spiegano gli esperti, quanto più in alto vengono sparati i materiali radioattivi, più lontano e più velocemente viaggiano. Questo perché i venti di terra tendono a mantenere la radiazione localizzata, i venti in quota fungono invece da nastro trasportatore e possono spingere grandi masse d'aria con il loro contenuto in particolato ad una velocità molto più elevata e a notevoli distanze. Basta ricordare come le tempeste di polveri asiatiche, provenienti dal deserto del Gobi, attraversano il Pacifico e depositano materiale in Nord America.

I grandi anticicloni dell'oceano Pacifico e dell'Atlantico che regolano le correnti rimangono confinati nel loro emisfero e non oltrepassano l'equatore; non si può parlare di una barriera naturale, ma di una sorta di confine meteorologico sì.
Lo scarso scambio di masse d'aria tra nord e sud del mondo mette quindi al sicuro i paesi dell'emisfero australe. Questo spiega perché tutte le mappe interattive che mostrano le possibili traiettorie della nube radioattiva indicano il passaggio dal Giappone, al nord America fin poi all'Europa, ma a latitudini piuttosto elevate.
Meteo France, ad esempio, simula la dispersione delle emissioni radioattive a grandi distanze basandosi sui dati rilevati dall'istituto francese di radioprotezione e sicurezza nazionale IRSN.
La previsione si è dimostrata coerente con le minime tracce di cesio e iodio radioattivo rilevate dalle stazioni di monitoraggio dopo l'incidente. Gli Stati Uniti sono stati raggiunti dalla massa d'aria proveniente dal Giappone tra il 16 e il 17 marzo. Nei giorni successivi, tra il 21 e il 23 marzo, la massa d'aria si è spostata ancora più ad est, in Atlantico, coprendo una vasta area che va dalle Antille francesi a Saint Pierre e Miquelon, davanti alle coste del Canada settentrionale.
Tuttavia, i livelli di radionuclidi in aria, stimati inferiori a 1 mBq/m3, erano troppo bassi per essere rilevati dagli strumenti di controllo ambientale installati nella fascia tropicale, ad esempio a Point-a-Pitre (Guadalupa), Fort-de-France (Martinica) e Cayenne (Guayana francese). L'istituto si riserva tuttavia di comunicare i risultati delle analisi effettuate su campioni di acqua piovana e piante raccolti in questi paesi.
L'Europa è stata raggiunta tra il 22 e il 23 marzo, quindi circa dieci giorni dopo l'incidente; le concentrazioni erano talmente basse che la quantificazione delle sostanze radioattive è stata possibile solo con tecniche analitiche in grado di superare i limiti di rilevabilità delle normali attrezzature di sorveglianza.

Oggi però l'incubo radioattività si risveglia. L'altissimo livello di emissioni radioattive dal reattore numero 3 di Fukushima e il fumo che sale dall'impianto non lasciano presagire nulla di buono.
Quanto alle previsioni, gli esperti confermano quanto detto in precedenza: i venti prevalenti spingono le masse d'aria al largo della costa orientale nipponica, verso il Pacifico settentrionale e ci metteranno dai 5 ai 7 giorni per raggiungere il Nord America, passando eventualmente prima sulle Hawaii.
I calcoli fatti su distanze di migliaia di chilometri sono rassicuranti: gran parte del particolato si depositerà in zone disabitate e, verosimilmente, già sul versante opposto del Pacifico i livelli di radioattività saranno milioni di volte più bassi di quelli registrati nei pressi dell'impianto giapponese. Ma finché non si avranno notizie certe sulla reale portata della crisi la preoccupazione del mondo non diminuisce.


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