
Storie dai Tropici
Uragani, pronti per la categoria 6?
(Miami, Florida, USA - 3/9/2011)
Categoria 5 è il grado massimo previsto dalla scala usata per classificare l'intensità di un uragano. Qualcuno dice che non basta più e che bisognerebbe aggiungere un sesto livello.
La necessità di inventarsi un ulteriore gradino nasce dall'analisi dei dati storici: negli ultimi 40 anni il potenziale distruttivo degli uragani è aumentato e gli uragani atlantici di forte intensità, che si abbattono sui Caraibi, il golfo del Messico e le coste USA, diventano più frequenti.
Mari più caldi, maggiore calore liberato quindi uragani sempre più volenti, questo il trend. Colpa del riscaldamento globale? Può darsi, ma non è detto.
Guardando indietro nel tempo, abbiamo avuto periodi di calma alternati a periodi di intensa attività ciclonica; è vero che i dati raccolti prima del 1970 non sono troppo affidabili, ma è vero anche che le stagioni degli anni '60, '70 e '80 chiudono un ciclo relativamente poco attivo.
Poi dal 1995, l'anno di Felix, Hugo, Opal e Marilyn, tanto per citare qualche nome ancora impresso nel ricordo, s'inverte la tendenza e si ritorna in una fase di maggiore intensità.
Il 1995 è anche l'anno in cui l'Atlantico entra nella “fase calda” di una curva storica che misura le variazioni periodiche di temperatura e salinità dello strato superficiale dell'oceano Atlantico, un meccanismo conosciuto come oscillazione multidecadale delle temperature (Atlantic Multi-Decadal Oscillation, AMO). La durata media di ogni fase è di circa 30-35 anni. Perciò, se gli uragani seguissero questi stessi cicli, dovremmo rassegnarci a sentir parlare di fenomeni estremi fino al 2025.
Naturalmente si tratta di un'ulteriore interpretazione dei dati, che non va letta nel quadro delle previsioni meteorologiche, ma può essere comunque utile a capire meglio meccanismi tanto complessi come quelli che regolano la macchina del tempo.
Fatto sta che, in una prospettiva di lungo periodo che vedrebbe l'intensificarsi dell'attività ciclonica, si inasprisce la discussione nella comunità meteorologica mondiale sull'utilità o meno di aggiornare la scala Saffir-Simpson, il cui attuale limite massimo potrebbe non bastare più in futuro. Ma la questione va ben oltre.
La scala introdotta nel 1969, quando i mezzi per misurare la forza di un uragano erano certamente meno raffinati di oggi, si basa sulla velocità dei venti, ma ignora diversi altri fattori determinanti ai fini della devastazione che un uragano può produrre: categoria 5 vuol dire uragano con venti che per almeno un minuto si mantengono ad una velocità superiore a 250 km orari.
Categoria 6, qualora venisse introdotta, corrisponderebbe a venti che viaggiano a più di 280 km/h. Valori che nemmeno sfiorerebbero il record, conquistato nel 1996 dal ciclone Olivia, che transitò sull'isola di Barrow, Australia, con raffiche a 408 km/h.
In realtà, gli strumenti utilizzati per misurare l'intensità del vento vengono spesso distrutti dalle tempeste più estreme e le stime devono essere estrapolate da altri dati; negli ultimi anni si preferisce ricorrere, quando possibile, ai dati raccolti dai
cacciatori di uragani, considerati in assoluto i più affidabili.
Tuttavia, anche ammettendo che sia misurata con estrema precisione, l'intensità dei venti non può essere il solo parametro per valutare la forza di un uragano e innalzare coerentemente il livello d'allerta tra la popolazione. Contano le dimensioni della tempesta, gli accumuli di pioggia, l'altezza dell'onda di marea che viene sollevata e via dicendo. Katrina, Rita, Ike e il più recente Irene possono servire da esempio: si sono abbattuti a terra quando erano classificati categoria 2 o 3, cioè uragani moderato e forte, ma i danni causati sono stati molto, molto peggiori di quanto si potesse immaginare.
Per questi motivi, secondo Bill Read, direttore del NOAA National Hurricane Center, le categorie andrebbero eliminate del tutto. Lui è tra quelli che si dichiarano fermamente contrari all'introduzione di una categoria 6: non è necessario, ripete ai colleghi, dobbiamo concentrarci meno sul vento e di più sul potere distruttivo dell'acqua, perché sono le inondazioni e le alluvioni a distruggere le abitazioni e provocare la perdita di così tante vite umane.
Run from the water, hide from the wind, nasconditi dal vento ma allontanati dall'acqua, resta sempre un valido consiglio.
Altri dettagli:
Scientific American
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